Ricorso per la regione Toscana,  in  persona  del  vice  presidente
 della  giunta  regionale  (in  temporanea  assenza  del  presidente),
 rappresentato e difeso  per  mandato  a  margine  del  presente  atto
 dall'avv.  Alberto  Predieri,  e  presso  il suo studio elettivamente
 domiciliato in Roma, via G. Carducci n. 4, contro il  Presidente  del
 Consiglio  dei Ministri per la dichiarazione costituzionale del d.l.
 n. 273/1993 del 4 agosto 1993 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n.
 182 del 5 agosto 1993.
    1.  - In data 18 aprile 1993 il corpo elettorale veniva chiamato a
 votare sul seguente quesito: "Volete che sia  abrogata  la  legge  31
 luglio  1959,  n.  617 'Istituzione del Ministero del turismo e delle
 spettacolo?'".
    2. - Il corpo elettorale, a maggioranza, accoglieva  la  proposta,
 votava  per  il  si',  con  conseguente  decreto del Presidente della
 Repubblica (n. 175 del 5  giugno  1993)  e  abrogazione  delle  norme
 oggetto della decisione referendaria.
    3.  -  In  data  4  agosto 1993 veniva emanato il decreto-legge n.
 273/1993 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5  agosto  1993,  n.
 182,  di  riordino delle funzioni in materia di turismo, spettacolo e
 sport.
    Il decreto e' illegittimo, nella misura in cui non tiene conto che
 l'effetto  e  la  volonta'  del referendum abrogativo, e dunque della
 soppressione  del  Ministero,  e'  l'automatico  trasferimento   alle
 regioni  delle  relative funzioni: funzioni che invece non vengono ad
 esse interamente trasferite,  con  un  atto  che  si  pone  in  pieno
 contrasto   con  la  volonta'  popolare,  i  cui  effetti  e  il  cui
 significato   istituzionale   sono   inequivocabili   e   di    segno
 completamente   opposto,   e   vanno  nella  direzione  della  totale
 attuazione di un ordinamento regionale quale la Costituzione esige.
    Tale decreto e' dunque illegittimo per violazione degli  artt.  1,
 3, 5, 75, 95, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.
    4.  -  Un  sistema  costituzionale non puo' introdurre un congegno
 eccezionale come e' il referendum (istituto di democrazia diretta  in
 un   sistema  che,  pur  con  le  correzioni,  resta  rappresentativo
 parlamentare, che produce una risposta secca, puntuale, di scelta  ad
 una  alternativa  altrettanto  secca,  che  ha  un grande significato
 politico-istituzionale, grandissimo nel nostro caso per l'inserimento
 in un contesto  di  altri  referendum  che  intendono  esprimere  una
 posizione  politica innovatrice e diffusa); un sistema costituzionale
 - dicevamo - non puo' introdurre, dunque, un metodo di decisione  che
 scavalca  il  Parlamento,  per  arrivare  poi  con un decreto-legge e
 ripristinare una situazione che nega la volonta' espressa  dal  corpo
 elettorale,  a  pena  di  incoerenza  e  di irragionevolezza non solo
 dell'atto  normativo  illegittimamente   restauratore   della   norma
 abrogata, ma dell'intero sistema costituzionale.
    Se  questo e' sempre vero, lo e' tanto piu' nel nostro caso in cui
 dietro la scelta propria e netta espressa nell'alternativa si'-no  vi
 era e vi e' una macroscelta nel processo formativo del referendum per
 la  riforma  dell'apparato  statale, partito questa volta all'interno
 della Repubblica dalle regioni medesime, formulatrici della domanda e
 necessarie beneficiarie della risposta positiva  al  quesito,  e  una
 macroscelta  del  corpo  elettorale,  che  esprime la sua volonta' di
 svolta  nel  senso  istituzionale  della  regionalizzazione  e  della
 diminuzione  del peso centralistico e la sua volonta', desumibile dal
 contesto dei referendum che tutti si muovono di pari  passo,  di  una
 svolta politico-istituzionale.
    C'e',  dunque,  una  scelta  puntuale  su  un quesito che pone una
 opzione inequivocabile (come  attesta  la  Corte  nella  sentenza  di
 ammissibilita'  del  refendum) nel suo aspetto di decisione "tecnica"
 strumentale ad uma macroscelta regionalista per l'impulso  e  per  il
 risultato e ad una macroscelta di politica generale.
    5.  - La decisione popolare e' manifestazione della sovranita' che
 spetta al popolo in forza dell'art. 1 della Costituzione; il referen-
 dum e' istituto di legislazione popolare, atto legislativo  o  se  si
 preferisce  atto  con  forza  di legge ordinaria formalmente imputato
 allo Stato-persona, tanto che  e'  promulgato  dal  Presidente  della
 Repubblica  come  una  comune  legge  ordinaria,  anche  se  ad  esso
 partecipa come  organo  esclusivo  di  deliberazione  il  popolo  (di
 promulgazione   parlano   V.      Crisafulli,   lezioni   di  diritto
 costituzionale, Padova, II, 1984, p.  334; C. Lavagna, istituzioni di
 diritto pubblico, Torino, 1982, p.  341: ma comunque vi e' unanimita'
 nel parlare di atto meramente dichiarativo, che dev'essere inquadrato
 nella cornice di una sostanziale decisione popolare).
    Nell'ambito  dell'inquadramento  normativo  del referendum si puo'
 parlare di atto di  legislazione  negativa,  come  ritenere  (con  V.
 Crisafulli,  lezioni  di diritto costituzionale, Padova, II, 1, 1971,
 p. 88) che il "si'" popolare alla abrogazione sarebbe  un  "frammento
 di norma" che viene a saldarsi al sistema normativo complessivo.
    Norma  o  frammento  di  norma,  l'atto  referendario ha l'effetto
 abrogante  di  una  norma  primaria,   che   abbiamo   detto   essere
 incontestabile, ma costituisce anche una manifestazione di sovranita'
 che  lo  pone  in  una  condizione  diversa  da  quella  di  un  atto
 legislativo  parlamentare,  tanto  che  il  Parlamento  non  potrebbe
 legittimamente ripristinare la legge abrogata dal popolo (F. Cuocolo,
 note  introduttive  sul  referendum, in Studi XX Ass. Cost., Firenze,
 1969, VI, p. 170); e, al momento, non  e'  necessario  soffermarsi  a
 vedere  se  cio'  dipenda  dal  fatto che la norma o il "frammento di
 norma", in quanto di fonte popolare, avrebbe un grado superiore  alla
 fonte parlamentare, oppure se si debba dire, forse meno radicalmente,
 ma  con  analoga  conclusione  di  illegittimita', che il vizio della
 legge riprodotta consisterebbe in un eccesso di  potere  legislativo,
 nel  suo  sviamento in frode della Costituzione, analogo a quello che
 inficia una legge che riproducesse una norma  dichiarata  illegittima
 dalla   Corte   costituzionale   (sull'argomento   A.   Manzella,  Il
 Parlamento, Bologna, 1977, p. 50);  oppure  ancora  se  debba  essere
 sottolineato  che  l'atto  referendario abbia effetto legislativo che
 puo' abrogare la legge primaria, ma che si pone, rispetto ad essa, in
 una posizione differenziata per il suo carattere di manifestazione di
 volonta', che lo pone in posizione sovraordinata rispetto alla  legge
 primaria.  Come  abbiamo  leggi  subprimarie  ancorche'  parlamentari
 (cioe' quelle che  necessariamente  debbono  porsi,  per  ragioni  di
 competenza,  il  parametro  delle  norme  comunitarie), cosi' abbiamo
 norme abrogative sopraprimarie in quanto manifestazione diretta della
 sovranita' popolare, che si  pongono  come  norme  aventi  l'identica
 forza  formale  delle leggi primarie, efficacia abrogante della norma
 primaria, successiva rispetto ad una norma primaria  antecedente,  ma
 si   pongono  anche  come  manifestazione  di  indirizzo  proveniente
 dall'organo detentore della  sovranita'  che  condiziona  l'eventuale
 legislazione  di  adeguamento,  se  e  in  quanto  essa  possa essere
 necessaria.
    Il referendum  e'  una  manifestazione  diretta  della  sovranita'
 popolare  affermata  dall'art.  1  della  Costituzione  (S. Galeotti,
 l'ultimo ostacolo  all'operativita'  del  referendum  abrogativo,  la
 determinazione della nuova data del referendum indetto e poi sospeso,
 in  studi  in  onore  di G. Chiarelli, Milano, 1974, II, p. 1162) che
 raggiunge un  effetto  diretto  e  immediato  abrogativo,  quindi  di
 normazione  negativa  del  tutto  analoga  alle sentenze della Corte,
 secondo opinioni piu' volte espresse da Kelsen in poi. Il  referendum
 e'  certamente  l'atto  che  esprime  in modo piu' sicuro la volonta'
 sovrana  del  popolo  e  che  deve   prevalere   per   un   principio
 organizzativo  essenziale  del  sistema  giuridicamente  rilevante  e
 quindi vincolante. Nel  contrasto  fra  la  volonta'  espressa  dalle
 Camere  e la volonta' popolare espressa in una consultazione diretta,
 su  un  quesito  preciso  e  circoscritto,  non   v'e'   dubbio   che
 quest'ultima  corrisponde meglio all'orientamento del popolo e quindi
 esprime in  misura  piu'  intensa  il  potere  sovrano  (F.  Cuocolo,
 Istituzioni  di  diritto  pubblico,  Milano,  1990,  p. 271, il quale
 aggiunge che potrebbe anche dirsi che l'espressione popolare  diretta
 priva,  almeno  temporaneamente,  le  Camere  dello  stesso potere di
 decidere sull'argomento  gia'  deciso  dal  popolo).  Esse,  infatti,
 "rappresentano"  il  popolo  e,  pur tenendo conto della atipicita' e
 delle particolari caratteristiche della rappresentanza politica,  non
 sembra  dubbio  che il potere di agire in rappresentanza possa subire
 limitazioni   quando    lo    stesso    rappresentato,    con    atto
 costituzionalmente  corretto,  abbia  deciso  in  via  diretta  su un
 argomento che per cio' stesso resta sottratto alla  competenza  delle
 assemblee. Il che e' anche piu' evidente qualora si consideri il ref-
 erendum  come  strumento  di  controllo  e  di  garanzia, non potendo
 certamente ammettersi che le Camere abbiano il potere di frustrare la
 decisione popolare che abbia abrogato, e cioe' disvoluto,  attraverso
 uno   strumento  di  controllo  costituzionale,  una  legge  da  esse
 approvata.  La  forza  e  la  giustificazione  della   rappresentanza
 politica  si  fondano pur sempre su una presunzione di corrispondenza
 fra la volonta' del popolo-rappresentato e  quella  delle  assemblee-
 rappresentanti  e tale presunzione, di massima, trova la sua verifica
 in occasione del rinnovo delle assemblee.  Ma  il  referendum  supera
 tale   presunzione   ed   accerta   in  concreto,  su  una  questione
 particolare, se la  corrispondenza  gia'  presunta  esiste  o  no  e,
 qualora  tale  accertamento dia risultato negativo, non solo la legge
 e' abrogata, ma viene a mancare nelle Camere (e a maggior ragione nel
 Governo, con lo strumento della  decretazione  d'urgenza)  lo  stesso
 potere di procedere a un mutamento della situazione creata dal refer-
 endum.
    La  manifestazione  di  abrogazione  diretta porta alla necessaria
 prevalenza e supremazia delle manifestazioni di democrazia diretta su
 tutte le altre, tali da rendere omogenee nella natura le due  diverse
 figure   del   referendum   previste  dagli  artt.  75  e  138  della
 Costituzione (v. su quest'ultimo punto, Galeotti, esigenze e problemi
 del referendum, in Iustitia,  Milano,  1970,  282  ss.;  F.  Modugno,
 l'invalidita'  della  legge,  Milano,  1970,  II,  p.  120):  con  la
 conseguenza che, per non eludere il significato e l'efficacia propria
 dell'intervento  popolare,  dovra'   ammettersi   il   controllo   di
 costituzionalita'  della legge che miri, in seguito al referendum, in
 una forma piu' o meno esplicita, a ripristinare come se  nulla  fosse
 accaduto,  la  situazione antecedente (Modugno, il quale aggiunge che
 il confronto tra il  contenuto  del  referendum  abrogativo,  rectius
 della  normativa  abrogata  con  il  referendum, e il contenuto della
 legge  successiva  induce  a   ravvisare   quindi,   quodammodo,   in
 quell'atto, o fatto, il valore costituzionale).
    Con  altre  parole,  un  atto  o  frammento di atto inserito in un
 subsistema o fenomeno normativo (senza  scendere  per  il  momento  a
 precisazioni  che  dobbiamo  rinviare  alla  successiva  memoria) che
 proviene da un produttore di norme qual'e' il popolo detentore  della
 sovranita',   dev'essere   collocato   nel   suo   rango   superiore,
 sovraprimario.
    Le norme della produzione vengono a collocarsi nel nostro  sistema
 costituzionale  in  attuazione  di un principio per cui ogni norma od
 atto andranno messi in posizione superiore ad  altra  norma  od  atto
 tanto  piu'  se nell'organo che lo produce e' manifesta la sovranita'
 popolare o e' piu'  vicino  il  collegamento  col  popolo;  cosicche'
 quando  la  gerarchia non venga determinata dall'ordinamento e quando
 esso  non  ponga  regole  di  equiordinazione   in   relazione   alla
 competenza,   dal  momento  che  la  gerarchia  e'  una  connotazione
 indispensabile, essa va individuata, nei casi dubbi, con  riferimento
 ai  gradi  di derivazione dell'organo (o subsistema) produttore della
 norma,  dal  popolo,  posto  in  posizione  di  sovranita',  con   la
 conseguenza  che  l'atto  normativo direttamente posto dalla volonta'
 popolare deve collocarsi nel rango piu' elevato.
    6. - Come dicevamo,  incontestabile  effetto  dell'atto  normativo
 referendario   e'   l'abrogazione.   Se   il  referendum  costituisce
 abrogazione totale delle norme oggetto del quesito ne deriva un vuoto
 normativo, che e' analogo a quello che deriva  dalla  sentenza  della
 Corte.
    Il  parallelismo  fra l'effetto normativo di legislazione negativa
 (per usare la formula di Kelsen) delle sentenze della Corte e  quello
 della decisione referendaria e' evidente.
    Il  referendum  ha  una  logica  binaria si'-no, quindi abroga-non
 abroga; la logica e' uguale a quella della Corte si'-no,  annulla-non
 annulla.  Ma  come l'effetto della logica binaria della Corte porta a
 necessita' di adeguamenti per superare  l'intrusione  del  vuoto  nel
 tessuto  normativo,  altrattento  avviene  o  puo' avvenire quando il
 vuoto normativo  e'  opera  dell'atto  referendario,  particolarmente
 perche' il referendum abrogativo accolto dalla nostra Costituzione e'
 un  istituto  inserito  nella  democrazia rappresentativa che in essa
 viene  e  deve  essere  metabolizzato  nella  accezione   dottrinale-
 culturale  e  operativa,  che  con  essa  convive e la integra con un
 sistema politico nel quale il demos decide  direttamente  le  singole
 questioni  non  piu'  assieme  ma  separatamente  e in solitudine (G.
 Sartori, che cosa e' la democrazia, Milano, 1993, p. 84), ma  in  cui
 il tessuto normativo resta di produzione parlamentare.
    Puo'   darsi,   quindi,   che  vi  possano  essere  necessita'  di
 adeguamento della normazione residua alla decisione  popolare,  cosi'
 come  possono esservi alla decisione della Corte. Ma e' la decisione,
 del popolo, o della Corte, che condiziona e conforma lo spazio che il
 legislatore  parlamentare  puo'  utilizzare  per  suturare  il  nuovo
 ordinamento    basato   sull'abrogazione,   il   vuoto   cioe',   con
 l'ordinamento  residuale;  quindi,  in  tanto  vi  e'  un  potere  di
 adeguamento e di sutura, in quanto esso sia utilizzato in modo da non
 alterare la decisione di rimozione o di soppressione del preesistente
 e  da limitare l'intervento del legislatore al minimo indispensabile,
 rispettando la scelta di fondo dell'organo che e' posto in  posizione
 funzionalmente  sovraordinata  (almeno in questo caso) al Parlamento.
 Quest'ultimo (e a fortiori il Governo con lo strumento  del  decreto-
 legge)  non  puo'  muoversi  in  totale  liberta',  e deve seguire le
 indicazioni della sentenza della Corte  e  della  volonta'  popolare,
 attenendosi  a quanto proviene dalla sentenza e dall'atto refendario.
 Evidentemente, nel primo caso, le sfumature ricche e variabili  della
 sentenza  potranno  fornire  una  guida che la poverta' semantica del
 si'-no referendario non puo' fornire.  Ma  proprio  questa  rigidita'
 impone  di  considerare  eccezionale  la  deroga  al  vuoto  creato e
 limitatissime le facolta' di sutura.
    7. - Nel nostro caso, il decreto-legge non ha tenuto nessun  conto
 delle norme e del sistema costituzionali.
    Lo scopo del referendum e il suo risultato sono molto chiari, come
 risulta  dal  suo iter. Esso infatti e' stato proposto dalle regioni,
 come soggetti che intendevano raggiungere l'abolizione del  Ministero
 per  avere  l'attribuzione di competenze, come e' stato adeguatamente
 posto  in  risalto nelle memorie depositate dai delegati dei consigli
 regionali del Veneto, della  Valle  d'Aosta,  del  Piemonte  e  delle
 Marche  (punto  4  in  fatto  alla  sentenza  35/1993), i quali hanno
 rilevato la necessita'  nel  ricorso  al  referendum  abrogativo  per
 realizzare  la  soppressione  del  Ministero, passando in rassegna le
 vicende che hanno riguardato il regionalismo negli  anni  settanta  e
 che  postulavano  il  riordinamento in materia "quale imprescindibile
 momento asttuativo dell'ordinamento regionale".
    La ratio  e'  dunque  quella  dell'abolizione  del  Ministero  per
 completare  il  trasferimento alle Regioni delle funzioni relative al
 turismo, allo sport e allo spettacolo.
    Come e' stato puntualmente deciso dalla Corte nella  sentenza  per
 l'ammissibilita' del referendum (sent. n. 35/1993) non puo' revocarsi
 in   dubbio  la  circostanza  che  il  quesito,  essendo  volto  alla
 abrogazione della stessa legge  istitutiva  del  Ministero,  propone,
 quale  unica  e  puntuale  alternativa,  quella  di sopprimere ovvero
 mantenere l'organismo ministeriale nel suo complesso.
   Dice ancora la sentenza della Corte che "neppure e' a dirsi che  il
 referendum di cui qui si giudica l'ammissibilita' rinvenga a tal fine
 un  qualche ostacolo alla luce dei principi che questa Corte ha avuto
 modo di affermare in tema di  leggi  a  contenuto  costituzionalmente
 vincolato  od obbligatorio, considerato che, nella specie, il quesito
 propone quale oggetto del voto popolare non un organo o  un  istituto
 la  cui  esistenza e' presupposta dalla Costituzione o che puo' dirsi
 coessenziale alla struttura  od  al  funzionamento  del  Governo,  ma
 unicamente  il  mantenimento  ovvero  la  soppressione  dell'apparato
 burocratico-amministrativo che il  legislatore  ha  discrezionalmente
 ritenuto  di far assurgere al rango di Ministero, cosi' limitandosi a
 dare attuazione alla  riserva  legislativa  enunciata  dall'art.  95,
 terzo comma, della Costituzione".
    8.  -  Non e' di ostacolo alla necessita' che al vuoto legislativo
 conseguente alla soppressione  del  Ministero  del  turismo  e  dello
 spettacolo  venga  posto  rimedio  con  l'attribuzione delle relative
 competenze alle regioni, la considerazione che  nell'art.  117  della
 Costituzione  non venga fatto riferimento esplicito allo spettacolo o
 allo sport. Il trasferimento di funzioni amministrative  in  tema  di
 spettacolo e di sport e' ormai da tempo disposto dalle leggi statali,
 particolarmente  dall'art.  49  del  d.P.R.  n.  616/1977  e vi e' un
 nutrito corpo di leggi regionali in materia.
    Cosicche', sulla base degli statuti regionali e sulla  base  della
 legislazione  statale, sulla base diremmo (per usare una terminologia
 del diritto comunitario) dell'acquis, venuto meno  il  Ministero  del
 turismo  e  dello  spettacolo,  tutte le funzioni che esso esercitava
 debbono essere trasferite alle  regioni,  salvo  quelle  relative  al
 coordinamento   e   alla  rappresentanza  unitaria  internazionale  e
 comunitaria. Cosi' come debbono essere trasferiti i fondi  apprestati
 per  il  turismo,  lo  spettacolo  e  lo  sport dalla amministrazione
 centrale, con la conseguente illegittimita' di tutte le  norme  degli
 artt.  1  e 2 del decreto, eccezion fatta per la lettera a) del primo
 comma dell'art. 2) l'indicazione di questi esempi non limita a questi
 casi la censura  di  illegittimita'  del  decreto-legge  che  investe
 l'intero  testo,  dal  momento  che  e' l'impianto e la struttura del
 decreto a dover essere  censurata,  nella  parte  in  cui  omette  di
 trasferire  alle  regioni tutte le funzioni amministrative in tema di
 spettacolo,  turismo  e  sport  gia'  di   competenza   dell'abrogato
 Ministero e dell'apparato burocratico ad esso connesso).
    Ne  deriva che, salva la funzione centrale della conferenza Stato-
 regioni quale sede di coordinamento e di  programmazione  per  quanto
 attiene  al  turismo,  alla  Presidenza  del  Consiglio  competono le
 funzioni   di    indirizzo    e    di    coordinamento    nell'ambito
 dell'organizzazione  della  Presidenza,  cosi'  come  la  funzione di
 rappresentativita'  unitaria  dell'immagine  puo'  essere   utilmente
 svolta  dall'Enit, peraltro riordinato in senso regionalista, secondo
 quanto e' stabilito nell'art. 3, secondo comma, lettera c), e art. 3,
 terzo comma, lettera d), in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,
 lettere b) e c).
    9. - Considerazioni non diverse vanno fatte per lo sport.
    Le  attribuzioni  degli  organi centrali e periferici dello Stato,
 esercitate anche indirettamente,  sono  per  effetto  del  referendum
 trasferite  alle  regioni,  fatte  salve  le  competenze del Coni per
 l'attivita' olimpica,  le  cui  attribuzioni  contenute  nella  carta
 olimpica (regolamento CIO) - si ribadisce - rimangono intatte e fuori
 discussione, salvo riorganizzare adeguatamente le proprie strutture a
 livello  regionale,  in  sintonia  col processo di regionalizzazionee
 delle federazioni sportive nazionali per quanto  attiene  l'attivita'
 di interesse nazionale ed internazionale ed i relativi controlli, che
 possono essere assegnati al Presidente del Consiglio dei Ministri.
    10. - La regola della sparizione dell'ordinamento voluta dal corpo
 elettorale  in  esito  al  referendum puo' trovare deroghe, nel senso
 che, fermo il risultato di fondo, possono essere introdotte  limitate
 eccezioni  alla  scomparsa  totale della normativa con il conseguente
 vuoto; puo' ammettersi che esso, in parte, possa essere colmato da un
 intervento del legislatore. La nuova legge dev'essere pero'  limitata
 al minimo indispensabile.
    La  scelta  puntuale  e univoca del modello di organizzazione e di
 distribuzione delle funzioni con l'abolizione del Ministero, comporta
 che  esso  deve  sparire  come  organizzazione  strutturale  e   come
 strumento per l'esercizio delle funzioni.
    Dove  le  funzioni,  dalla  legge  antecedente, sono suddivise fra
 Ministero e regioni, la scelta del  corpo  elettorale  comporta  che,
 automaticamente  rimosso  il  Ministero,  tutte  le  funzioni debbano
 essere esercitate dalle regioni, cioe' dai singoli soggeti ognuno nel
 proprio ambito territoriale, ad eccezione di quelle di  coordinamento
 generale  della  programmazione,  nonche'  di rappresentanza unitaria
 degli interessi italiani nelle sedi  comunitarie  ed  internazionali,
 che  ontologicamente  assicurano  la  coordinazione  di  un esercizio
 pluralistico.
    11.  -  E'  dunque  chiara  l'illegittimita'   del   decreto-legge
 impugnato,  per  le  considerazioni svolte; alle quali vanno aggiunte
 quelle sullirragionevolezza della norma nella duplice  visuale  della
 normativa  in  se' considerata e della parametrazione della normativa
 in   relazione   all'atto   normativo   referendario.   Invero,    la
 ragionevolezza  dev'essere valutata in relazione alla ratio dell'atto
 normativo popolare con effetto negativo ma  con  valenze  indicative,
 dato  che la ratio consisteva nel decremento dei poteri centrali sino
 al    punto     dell'abolizione     dell'intera     struttura;     e,
 contemporaneamente,  la  ragionevolezza di una norma di adempimento a
 seguito    di    abrogazione    dev'essere   riportata   alla   ratio
 dell'abrogazione, non puntuale  ma  di  istituzione  o  di  complesso
 organizzatorio,   dal  momento  che  non  puo'  essere  accettato  il
 principio che nulla segue all'abrogazione, in quanto vi  deve  essere
 invece un adeguamento conforme alla ratio abrogatrice.
    Nel   nostro   caso,  ad  una  abrogazione  volta  a  decrementare
 l'apparato centrale e incrementare gli apparati regionali (che ha  il
 significato    di    abolizione   dell'organizzazione   del   modello
 ministeriale e delle sue competenze), al trasferimento conseguenziale
 delle competenze, alla necessita' di dare spazio  ad  un  adeguamento
 limitato   al  minimo  indispensabile,  secondo  criteri  di  stretta
 economia, non si e' risposto in modo ragionevole, perche'  si  e'  in
 parte  mantenuto  in  vita  cio'  che  era  stato  abrogato,  in modo
 incongruo ed irragionevole.
    12. - E' insegnamento ripetuto  della  Corte  che  sia  pienamente
 ipotizzabile  il sindacato di quest'ultima relativamente agli effetti
 normativi costituzionalmente illegittimi verificatisi in seguito alla
 pronuncia referendaria abrogativa (Corte costituzionale, 22  dicembre
 1975, n. 251, in giur. cost. 1975, I, 2895, ss.; 13 febbraio 1981, n.
 24,  ivi,  123,  13  febbraio  1981,  n. 26, ivi, 134; e di recente 3
 febbraio 1987, n. 26, in Foro it., 1987, 664 ss.).
    13. - Cio' e' pienamente rispondente alle esigenze di coerenza che
 impongono un intervento della Corte anche in funzione integrativa  in
 una  materia notoriamente regolata in modo framentario. Sappiamo come
 la dottrina si sia  domandata  se  quando  la  Corte,  per  giudicare
 l'ammissibilita'  di un referendum abrogativo, esamina in modo piu' o
 meno  ampio   le   conseguenze   normative   che   si   produrrebbero
 nell'ordinamento vigente ove fosse approvata dal popolo la richiesta,
 formula  un  giudizio  di  ammissibilita'  o valuta la ragionevolezza
 degli effetti, che risulterebbero introdotti dal referendum  in  caso
 di  approvazione popolare, rispondendo che e' difficile sostenere che
 non faccia la seconda delle cose dette. Gli studiosi  hanno  risposto
 che  la Corte costituzionale e' costretta, con i suoi limitati mezzi,
 a porre argini ad una legislazione di attuazione dell'art.  75  della
 Costituzione   estremamente   lacunosa,   superficiale  e  totalmente
 improvvida nella valutazione dell'effettivo  operare  del  referendum
 abrogativo.  Se  un'esigenza  di coerenza del sistema ha imposto alla
 Corte di provvedere a colmare le lacune del  legislatore  nella  fase
 antecedente,  e' ovvio che le stesse esigenze comportino che la Corte
 debba intervenire, nella  fase  dell'adeguamento  e  dell'attuazione,
 cioe' dell'effettivo operare dell'effetto.