Ricorso per la regione Toscana, in persona del vice presidente della giunta regionale (in temporanea assenza del presidente), rappresentato e difeso per mandato a margine del presente atto dall'avv. Alberto Predieri, e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via G. Carducci n. 4, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione costituzionale del d.l. n. 273/1993 del 4 agosto 1993 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 1993. 1. - In data 18 aprile 1993 il corpo elettorale veniva chiamato a votare sul seguente quesito: "Volete che sia abrogata la legge 31 luglio 1959, n. 617 'Istituzione del Ministero del turismo e delle spettacolo?'". 2. - Il corpo elettorale, a maggioranza, accoglieva la proposta, votava per il si', con conseguente decreto del Presidente della Repubblica (n. 175 del 5 giugno 1993) e abrogazione delle norme oggetto della decisione referendaria. 3. - In data 4 agosto 1993 veniva emanato il decreto-legge n. 273/1993 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 agosto 1993, n. 182, di riordino delle funzioni in materia di turismo, spettacolo e sport. Il decreto e' illegittimo, nella misura in cui non tiene conto che l'effetto e la volonta' del referendum abrogativo, e dunque della soppressione del Ministero, e' l'automatico trasferimento alle regioni delle relative funzioni: funzioni che invece non vengono ad esse interamente trasferite, con un atto che si pone in pieno contrasto con la volonta' popolare, i cui effetti e il cui significato istituzionale sono inequivocabili e di segno completamente opposto, e vanno nella direzione della totale attuazione di un ordinamento regionale quale la Costituzione esige. Tale decreto e' dunque illegittimo per violazione degli artt. 1, 3, 5, 75, 95, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione. 4. - Un sistema costituzionale non puo' introdurre un congegno eccezionale come e' il referendum (istituto di democrazia diretta in un sistema che, pur con le correzioni, resta rappresentativo parlamentare, che produce una risposta secca, puntuale, di scelta ad una alternativa altrettanto secca, che ha un grande significato politico-istituzionale, grandissimo nel nostro caso per l'inserimento in un contesto di altri referendum che intendono esprimere una posizione politica innovatrice e diffusa); un sistema costituzionale - dicevamo - non puo' introdurre, dunque, un metodo di decisione che scavalca il Parlamento, per arrivare poi con un decreto-legge e ripristinare una situazione che nega la volonta' espressa dal corpo elettorale, a pena di incoerenza e di irragionevolezza non solo dell'atto normativo illegittimamente restauratore della norma abrogata, ma dell'intero sistema costituzionale. Se questo e' sempre vero, lo e' tanto piu' nel nostro caso in cui dietro la scelta propria e netta espressa nell'alternativa si'-no vi era e vi e' una macroscelta nel processo formativo del referendum per la riforma dell'apparato statale, partito questa volta all'interno della Repubblica dalle regioni medesime, formulatrici della domanda e necessarie beneficiarie della risposta positiva al quesito, e una macroscelta del corpo elettorale, che esprime la sua volonta' di svolta nel senso istituzionale della regionalizzazione e della diminuzione del peso centralistico e la sua volonta', desumibile dal contesto dei referendum che tutti si muovono di pari passo, di una svolta politico-istituzionale. C'e', dunque, una scelta puntuale su un quesito che pone una opzione inequivocabile (come attesta la Corte nella sentenza di ammissibilita' del refendum) nel suo aspetto di decisione "tecnica" strumentale ad uma macroscelta regionalista per l'impulso e per il risultato e ad una macroscelta di politica generale. 5. - La decisione popolare e' manifestazione della sovranita' che spetta al popolo in forza dell'art. 1 della Costituzione; il referen- dum e' istituto di legislazione popolare, atto legislativo o se si preferisce atto con forza di legge ordinaria formalmente imputato allo Stato-persona, tanto che e' promulgato dal Presidente della Repubblica come una comune legge ordinaria, anche se ad esso partecipa come organo esclusivo di deliberazione il popolo (di promulgazione parlano V. Crisafulli, lezioni di diritto costituzionale, Padova, II, 1984, p. 334; C. Lavagna, istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1982, p. 341: ma comunque vi e' unanimita' nel parlare di atto meramente dichiarativo, che dev'essere inquadrato nella cornice di una sostanziale decisione popolare). Nell'ambito dell'inquadramento normativo del referendum si puo' parlare di atto di legislazione negativa, come ritenere (con V. Crisafulli, lezioni di diritto costituzionale, Padova, II, 1, 1971, p. 88) che il "si'" popolare alla abrogazione sarebbe un "frammento di norma" che viene a saldarsi al sistema normativo complessivo. Norma o frammento di norma, l'atto referendario ha l'effetto abrogante di una norma primaria, che abbiamo detto essere incontestabile, ma costituisce anche una manifestazione di sovranita' che lo pone in una condizione diversa da quella di un atto legislativo parlamentare, tanto che il Parlamento non potrebbe legittimamente ripristinare la legge abrogata dal popolo (F. Cuocolo, note introduttive sul referendum, in Studi XX Ass. Cost., Firenze, 1969, VI, p. 170); e, al momento, non e' necessario soffermarsi a vedere se cio' dipenda dal fatto che la norma o il "frammento di norma", in quanto di fonte popolare, avrebbe un grado superiore alla fonte parlamentare, oppure se si debba dire, forse meno radicalmente, ma con analoga conclusione di illegittimita', che il vizio della legge riprodotta consisterebbe in un eccesso di potere legislativo, nel suo sviamento in frode della Costituzione, analogo a quello che inficia una legge che riproducesse una norma dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (sull'argomento A. Manzella, Il Parlamento, Bologna, 1977, p. 50); oppure ancora se debba essere sottolineato che l'atto referendario abbia effetto legislativo che puo' abrogare la legge primaria, ma che si pone, rispetto ad essa, in una posizione differenziata per il suo carattere di manifestazione di volonta', che lo pone in posizione sovraordinata rispetto alla legge primaria. Come abbiamo leggi subprimarie ancorche' parlamentari (cioe' quelle che necessariamente debbono porsi, per ragioni di competenza, il parametro delle norme comunitarie), cosi' abbiamo norme abrogative sopraprimarie in quanto manifestazione diretta della sovranita' popolare, che si pongono come norme aventi l'identica forza formale delle leggi primarie, efficacia abrogante della norma primaria, successiva rispetto ad una norma primaria antecedente, ma si pongono anche come manifestazione di indirizzo proveniente dall'organo detentore della sovranita' che condiziona l'eventuale legislazione di adeguamento, se e in quanto essa possa essere necessaria. Il referendum e' una manifestazione diretta della sovranita' popolare affermata dall'art. 1 della Costituzione (S. Galeotti, l'ultimo ostacolo all'operativita' del referendum abrogativo, la determinazione della nuova data del referendum indetto e poi sospeso, in studi in onore di G. Chiarelli, Milano, 1974, II, p. 1162) che raggiunge un effetto diretto e immediato abrogativo, quindi di normazione negativa del tutto analoga alle sentenze della Corte, secondo opinioni piu' volte espresse da Kelsen in poi. Il referendum e' certamente l'atto che esprime in modo piu' sicuro la volonta' sovrana del popolo e che deve prevalere per un principio organizzativo essenziale del sistema giuridicamente rilevante e quindi vincolante. Nel contrasto fra la volonta' espressa dalle Camere e la volonta' popolare espressa in una consultazione diretta, su un quesito preciso e circoscritto, non v'e' dubbio che quest'ultima corrisponde meglio all'orientamento del popolo e quindi esprime in misura piu' intensa il potere sovrano (F. Cuocolo, Istituzioni di diritto pubblico, Milano, 1990, p. 271, il quale aggiunge che potrebbe anche dirsi che l'espressione popolare diretta priva, almeno temporaneamente, le Camere dello stesso potere di decidere sull'argomento gia' deciso dal popolo). Esse, infatti, "rappresentano" il popolo e, pur tenendo conto della atipicita' e delle particolari caratteristiche della rappresentanza politica, non sembra dubbio che il potere di agire in rappresentanza possa subire limitazioni quando lo stesso rappresentato, con atto costituzionalmente corretto, abbia deciso in via diretta su un argomento che per cio' stesso resta sottratto alla competenza delle assemblee. Il che e' anche piu' evidente qualora si consideri il ref- erendum come strumento di controllo e di garanzia, non potendo certamente ammettersi che le Camere abbiano il potere di frustrare la decisione popolare che abbia abrogato, e cioe' disvoluto, attraverso uno strumento di controllo costituzionale, una legge da esse approvata. La forza e la giustificazione della rappresentanza politica si fondano pur sempre su una presunzione di corrispondenza fra la volonta' del popolo-rappresentato e quella delle assemblee- rappresentanti e tale presunzione, di massima, trova la sua verifica in occasione del rinnovo delle assemblee. Ma il referendum supera tale presunzione ed accerta in concreto, su una questione particolare, se la corrispondenza gia' presunta esiste o no e, qualora tale accertamento dia risultato negativo, non solo la legge e' abrogata, ma viene a mancare nelle Camere (e a maggior ragione nel Governo, con lo strumento della decretazione d'urgenza) lo stesso potere di procedere a un mutamento della situazione creata dal refer- endum. La manifestazione di abrogazione diretta porta alla necessaria prevalenza e supremazia delle manifestazioni di democrazia diretta su tutte le altre, tali da rendere omogenee nella natura le due diverse figure del referendum previste dagli artt. 75 e 138 della Costituzione (v. su quest'ultimo punto, Galeotti, esigenze e problemi del referendum, in Iustitia, Milano, 1970, 282 ss.; F. Modugno, l'invalidita' della legge, Milano, 1970, II, p. 120): con la conseguenza che, per non eludere il significato e l'efficacia propria dell'intervento popolare, dovra' ammettersi il controllo di costituzionalita' della legge che miri, in seguito al referendum, in una forma piu' o meno esplicita, a ripristinare come se nulla fosse accaduto, la situazione antecedente (Modugno, il quale aggiunge che il confronto tra il contenuto del referendum abrogativo, rectius della normativa abrogata con il referendum, e il contenuto della legge successiva induce a ravvisare quindi, quodammodo, in quell'atto, o fatto, il valore costituzionale). Con altre parole, un atto o frammento di atto inserito in un subsistema o fenomeno normativo (senza scendere per il momento a precisazioni che dobbiamo rinviare alla successiva memoria) che proviene da un produttore di norme qual'e' il popolo detentore della sovranita', dev'essere collocato nel suo rango superiore, sovraprimario. Le norme della produzione vengono a collocarsi nel nostro sistema costituzionale in attuazione di un principio per cui ogni norma od atto andranno messi in posizione superiore ad altra norma od atto tanto piu' se nell'organo che lo produce e' manifesta la sovranita' popolare o e' piu' vicino il collegamento col popolo; cosicche' quando la gerarchia non venga determinata dall'ordinamento e quando esso non ponga regole di equiordinazione in relazione alla competenza, dal momento che la gerarchia e' una connotazione indispensabile, essa va individuata, nei casi dubbi, con riferimento ai gradi di derivazione dell'organo (o subsistema) produttore della norma, dal popolo, posto in posizione di sovranita', con la conseguenza che l'atto normativo direttamente posto dalla volonta' popolare deve collocarsi nel rango piu' elevato. 6. - Come dicevamo, incontestabile effetto dell'atto normativo referendario e' l'abrogazione. Se il referendum costituisce abrogazione totale delle norme oggetto del quesito ne deriva un vuoto normativo, che e' analogo a quello che deriva dalla sentenza della Corte. Il parallelismo fra l'effetto normativo di legislazione negativa (per usare la formula di Kelsen) delle sentenze della Corte e quello della decisione referendaria e' evidente. Il referendum ha una logica binaria si'-no, quindi abroga-non abroga; la logica e' uguale a quella della Corte si'-no, annulla-non annulla. Ma come l'effetto della logica binaria della Corte porta a necessita' di adeguamenti per superare l'intrusione del vuoto nel tessuto normativo, altrattento avviene o puo' avvenire quando il vuoto normativo e' opera dell'atto referendario, particolarmente perche' il referendum abrogativo accolto dalla nostra Costituzione e' un istituto inserito nella democrazia rappresentativa che in essa viene e deve essere metabolizzato nella accezione dottrinale- culturale e operativa, che con essa convive e la integra con un sistema politico nel quale il demos decide direttamente le singole questioni non piu' assieme ma separatamente e in solitudine (G. Sartori, che cosa e' la democrazia, Milano, 1993, p. 84), ma in cui il tessuto normativo resta di produzione parlamentare. Puo' darsi, quindi, che vi possano essere necessita' di adeguamento della normazione residua alla decisione popolare, cosi' come possono esservi alla decisione della Corte. Ma e' la decisione, del popolo, o della Corte, che condiziona e conforma lo spazio che il legislatore parlamentare puo' utilizzare per suturare il nuovo ordinamento basato sull'abrogazione, il vuoto cioe', con l'ordinamento residuale; quindi, in tanto vi e' un potere di adeguamento e di sutura, in quanto esso sia utilizzato in modo da non alterare la decisione di rimozione o di soppressione del preesistente e da limitare l'intervento del legislatore al minimo indispensabile, rispettando la scelta di fondo dell'organo che e' posto in posizione funzionalmente sovraordinata (almeno in questo caso) al Parlamento. Quest'ultimo (e a fortiori il Governo con lo strumento del decreto- legge) non puo' muoversi in totale liberta', e deve seguire le indicazioni della sentenza della Corte e della volonta' popolare, attenendosi a quanto proviene dalla sentenza e dall'atto refendario. Evidentemente, nel primo caso, le sfumature ricche e variabili della sentenza potranno fornire una guida che la poverta' semantica del si'-no referendario non puo' fornire. Ma proprio questa rigidita' impone di considerare eccezionale la deroga al vuoto creato e limitatissime le facolta' di sutura. 7. - Nel nostro caso, il decreto-legge non ha tenuto nessun conto delle norme e del sistema costituzionali. Lo scopo del referendum e il suo risultato sono molto chiari, come risulta dal suo iter. Esso infatti e' stato proposto dalle regioni, come soggetti che intendevano raggiungere l'abolizione del Ministero per avere l'attribuzione di competenze, come e' stato adeguatamente posto in risalto nelle memorie depositate dai delegati dei consigli regionali del Veneto, della Valle d'Aosta, del Piemonte e delle Marche (punto 4 in fatto alla sentenza 35/1993), i quali hanno rilevato la necessita' nel ricorso al referendum abrogativo per realizzare la soppressione del Ministero, passando in rassegna le vicende che hanno riguardato il regionalismo negli anni settanta e che postulavano il riordinamento in materia "quale imprescindibile momento asttuativo dell'ordinamento regionale". La ratio e' dunque quella dell'abolizione del Ministero per completare il trasferimento alle Regioni delle funzioni relative al turismo, allo sport e allo spettacolo. Come e' stato puntualmente deciso dalla Corte nella sentenza per l'ammissibilita' del referendum (sent. n. 35/1993) non puo' revocarsi in dubbio la circostanza che il quesito, essendo volto alla abrogazione della stessa legge istitutiva del Ministero, propone, quale unica e puntuale alternativa, quella di sopprimere ovvero mantenere l'organismo ministeriale nel suo complesso. Dice ancora la sentenza della Corte che "neppure e' a dirsi che il referendum di cui qui si giudica l'ammissibilita' rinvenga a tal fine un qualche ostacolo alla luce dei principi che questa Corte ha avuto modo di affermare in tema di leggi a contenuto costituzionalmente vincolato od obbligatorio, considerato che, nella specie, il quesito propone quale oggetto del voto popolare non un organo o un istituto la cui esistenza e' presupposta dalla Costituzione o che puo' dirsi coessenziale alla struttura od al funzionamento del Governo, ma unicamente il mantenimento ovvero la soppressione dell'apparato burocratico-amministrativo che il legislatore ha discrezionalmente ritenuto di far assurgere al rango di Ministero, cosi' limitandosi a dare attuazione alla riserva legislativa enunciata dall'art. 95, terzo comma, della Costituzione". 8. - Non e' di ostacolo alla necessita' che al vuoto legislativo conseguente alla soppressione del Ministero del turismo e dello spettacolo venga posto rimedio con l'attribuzione delle relative competenze alle regioni, la considerazione che nell'art. 117 della Costituzione non venga fatto riferimento esplicito allo spettacolo o allo sport. Il trasferimento di funzioni amministrative in tema di spettacolo e di sport e' ormai da tempo disposto dalle leggi statali, particolarmente dall'art. 49 del d.P.R. n. 616/1977 e vi e' un nutrito corpo di leggi regionali in materia. Cosicche', sulla base degli statuti regionali e sulla base della legislazione statale, sulla base diremmo (per usare una terminologia del diritto comunitario) dell'acquis, venuto meno il Ministero del turismo e dello spettacolo, tutte le funzioni che esso esercitava debbono essere trasferite alle regioni, salvo quelle relative al coordinamento e alla rappresentanza unitaria internazionale e comunitaria. Cosi' come debbono essere trasferiti i fondi apprestati per il turismo, lo spettacolo e lo sport dalla amministrazione centrale, con la conseguente illegittimita' di tutte le norme degli artt. 1 e 2 del decreto, eccezion fatta per la lettera a) del primo comma dell'art. 2) l'indicazione di questi esempi non limita a questi casi la censura di illegittimita' del decreto-legge che investe l'intero testo, dal momento che e' l'impianto e la struttura del decreto a dover essere censurata, nella parte in cui omette di trasferire alle regioni tutte le funzioni amministrative in tema di spettacolo, turismo e sport gia' di competenza dell'abrogato Ministero e dell'apparato burocratico ad esso connesso). Ne deriva che, salva la funzione centrale della conferenza Stato- regioni quale sede di coordinamento e di programmazione per quanto attiene al turismo, alla Presidenza del Consiglio competono le funzioni di indirizzo e di coordinamento nell'ambito dell'organizzazione della Presidenza, cosi' come la funzione di rappresentativita' unitaria dell'immagine puo' essere utilmente svolta dall'Enit, peraltro riordinato in senso regionalista, secondo quanto e' stabilito nell'art. 3, secondo comma, lettera c), e art. 3, terzo comma, lettera d), in riferimento all'art. 3, primo comma, lettere b) e c). 9. - Considerazioni non diverse vanno fatte per lo sport. Le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato, esercitate anche indirettamente, sono per effetto del referendum trasferite alle regioni, fatte salve le competenze del Coni per l'attivita' olimpica, le cui attribuzioni contenute nella carta olimpica (regolamento CIO) - si ribadisce - rimangono intatte e fuori discussione, salvo riorganizzare adeguatamente le proprie strutture a livello regionale, in sintonia col processo di regionalizzazionee delle federazioni sportive nazionali per quanto attiene l'attivita' di interesse nazionale ed internazionale ed i relativi controlli, che possono essere assegnati al Presidente del Consiglio dei Ministri. 10. - La regola della sparizione dell'ordinamento voluta dal corpo elettorale in esito al referendum puo' trovare deroghe, nel senso che, fermo il risultato di fondo, possono essere introdotte limitate eccezioni alla scomparsa totale della normativa con il conseguente vuoto; puo' ammettersi che esso, in parte, possa essere colmato da un intervento del legislatore. La nuova legge dev'essere pero' limitata al minimo indispensabile. La scelta puntuale e univoca del modello di organizzazione e di distribuzione delle funzioni con l'abolizione del Ministero, comporta che esso deve sparire come organizzazione strutturale e come strumento per l'esercizio delle funzioni. Dove le funzioni, dalla legge antecedente, sono suddivise fra Ministero e regioni, la scelta del corpo elettorale comporta che, automaticamente rimosso il Ministero, tutte le funzioni debbano essere esercitate dalle regioni, cioe' dai singoli soggeti ognuno nel proprio ambito territoriale, ad eccezione di quelle di coordinamento generale della programmazione, nonche' di rappresentanza unitaria degli interessi italiani nelle sedi comunitarie ed internazionali, che ontologicamente assicurano la coordinazione di un esercizio pluralistico. 11. - E' dunque chiara l'illegittimita' del decreto-legge impugnato, per le considerazioni svolte; alle quali vanno aggiunte quelle sullirragionevolezza della norma nella duplice visuale della normativa in se' considerata e della parametrazione della normativa in relazione all'atto normativo referendario. Invero, la ragionevolezza dev'essere valutata in relazione alla ratio dell'atto normativo popolare con effetto negativo ma con valenze indicative, dato che la ratio consisteva nel decremento dei poteri centrali sino al punto dell'abolizione dell'intera struttura; e, contemporaneamente, la ragionevolezza di una norma di adempimento a seguito di abrogazione dev'essere riportata alla ratio dell'abrogazione, non puntuale ma di istituzione o di complesso organizzatorio, dal momento che non puo' essere accettato il principio che nulla segue all'abrogazione, in quanto vi deve essere invece un adeguamento conforme alla ratio abrogatrice. Nel nostro caso, ad una abrogazione volta a decrementare l'apparato centrale e incrementare gli apparati regionali (che ha il significato di abolizione dell'organizzazione del modello ministeriale e delle sue competenze), al trasferimento conseguenziale delle competenze, alla necessita' di dare spazio ad un adeguamento limitato al minimo indispensabile, secondo criteri di stretta economia, non si e' risposto in modo ragionevole, perche' si e' in parte mantenuto in vita cio' che era stato abrogato, in modo incongruo ed irragionevole. 12. - E' insegnamento ripetuto della Corte che sia pienamente ipotizzabile il sindacato di quest'ultima relativamente agli effetti normativi costituzionalmente illegittimi verificatisi in seguito alla pronuncia referendaria abrogativa (Corte costituzionale, 22 dicembre 1975, n. 251, in giur. cost. 1975, I, 2895, ss.; 13 febbraio 1981, n. 24, ivi, 123, 13 febbraio 1981, n. 26, ivi, 134; e di recente 3 febbraio 1987, n. 26, in Foro it., 1987, 664 ss.). 13. - Cio' e' pienamente rispondente alle esigenze di coerenza che impongono un intervento della Corte anche in funzione integrativa in una materia notoriamente regolata in modo framentario. Sappiamo come la dottrina si sia domandata se quando la Corte, per giudicare l'ammissibilita' di un referendum abrogativo, esamina in modo piu' o meno ampio le conseguenze normative che si produrrebbero nell'ordinamento vigente ove fosse approvata dal popolo la richiesta, formula un giudizio di ammissibilita' o valuta la ragionevolezza degli effetti, che risulterebbero introdotti dal referendum in caso di approvazione popolare, rispondendo che e' difficile sostenere che non faccia la seconda delle cose dette. Gli studiosi hanno risposto che la Corte costituzionale e' costretta, con i suoi limitati mezzi, a porre argini ad una legislazione di attuazione dell'art. 75 della Costituzione estremamente lacunosa, superficiale e totalmente improvvida nella valutazione dell'effettivo operare del referendum abrogativo. Se un'esigenza di coerenza del sistema ha imposto alla Corte di provvedere a colmare le lacune del legislatore nella fase antecedente, e' ovvio che le stesse esigenze comportino che la Corte debba intervenire, nella fase dell'adeguamento e dell'attuazione, cioe' dell'effettivo operare dell'effetto.